Intervista a Giovanna Bottoni

Ho pensato di intervistare immediatamente la Sig.ra Giovanna Bottoni nel momento in cui sono venuta casualmente a conoscenza della sua storia.

Chi è Giovanna Bottoni? Una collega, come tante di noi, verrebbe da pensare, ed in un mondo in cui i social ci consentono di conoscere facilmente storie di persone molto distanti da noi, sia fisicamente che professionalmente, perché questa intervista dovrebbe risultare interessante?

Proviamo a leggere insieme!

Un bel giorno qualcuno mi parla di lei ed io inizio a curiosare sul su Facebook cercando il suo profilo (agiamo tutti così quando vogliamo farci un’idea della persona che ci interessa conoscere).

La individuo, ha un account con un Nickname: Giovanna Gio e già questo la dice lunga sullo spirito giovane e spigliato di questa donna.

A me ha colpito una cosa: sapere che all’età di 84 anni fosse ancora operativa: ha esercitato l’attività di ASO fino a pochi mesi fa! Parlando con lei ho percepito  il grande slancio che ancora oggi prova nei confronti della nostra professione; ho apprezzato la sua generosità e colto la forza e la determinazione di una donna che ha lavorato tanto, senza risparmiarsi mai.

La sua voce al telefono è vivace, non dimostra affatto la sua età e mi fa pensare che vorrei davvero essere come lei tra trent’anni!E’ stata una grandissima sorpresa scoprire che ad 80 anni è possibile essere ancora indispensabili in uno studio odontoiatrico ma non dobbiamo commettere l’errore di pensare che il percorso lavorativo di Giovanna sia comune a molti di noi.

Ho deciso di intervistarla per condividere con tutti voi l’importante testimonianza di una collega che ha visto nascere e crescere la nostra figura professionale in tutti questi anni.

Così la contatto via Messenger ed ottengo un appuntamento telefonico. Mi risponde una voce cristallina dai toni vivaci ed i modi gentili che mi conquistano all’istante. Da ASO esperta comunica con estremo garbo, eleganza e grande coinvolgimento emotivo.

Mi sento in perfetta sintonia ed inizio l’intervista.

Rossella - Buongiorno Giovanna!

Giovanna - Buongiorno cara!

R. -  Sono contentissima di avere ottenuto questa opportunità di far conoscere la tua esperienza professionale ai nostri colleghi. Vorrei che ti presentassi da sola e che ci raccontassi  qual è stato il tuo percorso di crescita professionale; sinteticamente perché le domande saranno più specifiche in seguito: quando hai iniziato e dove?

 

G.- Ho lavorato con il professor Cesare Enrico Pini del Fate Bene Fratelli, con il direttore dell’Istituto Stomatologico. Facevo un part time. Poi mi è capitata l’opportunità di essere impiegata full time presso lo studio del dottor Luigi Brotto presso il quale sono rimasta dal 1967 fino ad oggi., era uno studio con 6 riuniti, vi erano 6 sale operative, che gestivamo in 4 assistenti ma lo gestivamo benissimo! Eravamo un team molto affiatato e ben organizzato. Ho lavorato quasi 60 anni in quello studio  ed ho fatto tantissimi corsi.

 

R. – Come hai iniziato questo lavoro?

G. -  Sono un’infermiera professionale, all’epoca lavoravo un mese e poi restavo ferma per un po’, funzionava così... Ad un  certo punto della mia vita mi trasferii a Milano. Io ero dell’Oltrepò Pavese, lavoravo al Policlinico San Matteo di Pavia e spostarmi da Milano a Pavia ogni volta era faticoso.

Allora un bel giorno ho risposto ad un’inserzione sul giornale. Cercavano un’assistente e mi presentai al colloquio di lavoro dal professor Pini. Eravamo in 40!  Fui scelta e fui felice di lavorare in quel posto bellissimo! Il Professore era direttore dell’ISI (Istituto Stomatologico Italiano) e praticava la chirurgia maxillo facciale. Lo studio era molto elegante e mi piacque subito moltissimo quell’ambiente.

 

R. – Quando hai iniziato, c’erano altre colleghe in quello studio?

G.- Sì, sì, c’erano...

R. - Come hai vissuto l’inserimento nel team?

G. – C’era la segretaria che era tedesca, poi c’era Chiara, che il mio titolare sposò più tardi. Lei non era molto prodiga di consigli, tutt’altro. Indossavamo una divisa che prevedeva il velo e lei nascondeva sotto il velo cose che non voleva vedessi perché probabilmente temeva  che potessi rubarle il mestiere e la scena!

Io però avevo un buon occhio e non mi sfuggiva nulla. Così imparavo ugualmente anche se lei era sempre accanto al professore mentre io, che ero l’ultima arrivata, venivo relegata a mansioni minori come fare  accomodare i pazienti ed ogni tanto  andavo alla poltrona e passavo i ferri. E’ stata una grande scuola, con un certo stile. La divisa doveva essere sempre pulita ed in ordine, queste buone abitudini restano per sempre. Ero talmente entusiasta del mio lavoro che mi dedicavo anima e corpo andando spesso oltre le aspettative del mio titolare. Avevo creato una gipsoteca organizzata in ogni minimo dettaglio, senza che nessuno me lo avesse chiesto o spiegato! Ci mettevo entusiasmo e passione, ogni giorno.

R. – Rispetto a quando hai iniziato ad essere un’assistente qual è stata l’innovazione che ha suscitato in te maggiore entusiasmo?

G. – L’autoclave. Ai miei tempi c’era la bollitrice.

R. – Qual è stato  il  primo protocollo di sterilizzazione che hai applicato?

G. - Al mattino accendevo la bollitrice, prendevo gli strumenti dal ritter, li ponevo nella bacinella con un disinfettante del quale non ricordo il nome, li sciacquavo bene  e poi li mettevo nella bollitrice. Quando  la bollitrice completava la sterilizzazione asciugavo gli strumenti e  li riponevo in una vetrina.

Nella  sterilizzazione ero sempre scrupolosa. C’era attenzione per ogni paziente; la poltrona veniva disinfettata, il pavimento era sempre pulito e lo studio impeccabile: tutto doveva essere sempre perfetto!

 

R. -  Qual è stata la tua attività clinica preferita.

G. – A me piaceva moltissimo la chirurgia. La trovavo fantastica!

R. – Qual è stato l’intervento più complesso al quale hai assistito?

 G.- A quei tempi facevamo le gengivectomie con la tecnica Widmann, si ribaltava la gengiva da 7 a 7, si curettava e si suturava.  Era affascinante. Poi si fissavano i denti con un bloccaggio, si preparavano dei bite, si controllavano ogni sei mesi  e quei denti, destinati a cadere, restavano in bocca per tantissimi anni. 

R. – Delle tue mansioni, quale preferivi? Quale mansione svolgevi con maggiore entusiasmo?

G. – La sterilizzazione. Mi organizzavo in modo tale da lasciare lo studio sempre pronto per qualsiasi emergenza. Gli strumenti dovevano essere sempre sterili! Il professore poteva avere necessità di andare in studio d’urgenza da solo. Altra mia grande passione è stata l’ortodonzia.

R. – Ci sono mai stati conflitti tra colleghi nel tuo team?

G. -  Mai. Le ragazze imparavano molto con me e non entravamo mai in conflitto. Sapevo gestire le situazioni in cui si generavano tensioni, a mio modo.

R. Qual è stato, secondo te, l’atteggiamento vincente che ti ha  evitato di entrare in conflitto con le colleghe?

G. – Amore e umiltà. Quando sentivo qualche commento un po’ aspro mi allontanavo, mi isolavo, lasciavo che discutessero tra loro e non mi intromettevo. Di solito ero una gran chiacchierona ma in queste situazioni mi rifugiavo in altre stanze. Non ho mai litigato con nessuno, neppure con il mio titolare. Ci rispettavamo reciprocamente, tutto qui. Noi dobbiamo portare rispetto ai titolari ma anche loro a noi. Soltanto così i rapporti possono durare a lungo. Mantenere la giusta distanza con il proprio datore di lavoro è sicuramente un consiglio che mi sento di dare alle nuove generazioni.

 

R. – Ti ricordi un aneddoto particolarmente divertente?

G. – Abbiamo fatto tante cose divertenti insieme, abbiamo condiviso molti compleanni, cene e feste. Siamo stati insieme tantissimi anni. Non ne ricordo uno in particolare...

R. – Un episodio commovente?

G. – La nascita dei bambini! E’ stato bello veder crescere i figli del mio titolare; pensa che ha cinque figli! Mi rendevo disponibile per loro e loro si sono affezionati moltissimo a me. Custodisco gelosamente i loro messaggi affettuosi. Paolo, l’ultimo nato undici anni fa, ancora oggi mi abbraccia con grande affetto. Ricordati che è donando che si riceve! Anche i pazienti, che ancora oggi  quando non mi trovano in studio mi mandano i messaggi. Mi fanno sentire preziosa e mi arricchiscono con le loro attenzioni.

R. – Negli ultimi anni, hai incontrato qualche difficoltà con l’avvento del digitale e l’introduzione delle nuove tecnologie?

G. – Non sono riuscita ad imparare ad usare il computer, anche perché ho attraversato un lungo periodo di malattia. Per il resto, direi che riuscivo a gestire abbastanza bene le apparecchiature. Quando c’è da imparare qualcosa di nuovo occorre seguire con la massima attenzione ed impegnarsi: tutto si può imparare.

R. – Del tuo lavoro, in questo momento, adesso che sei a casa, cosa ti manca di più?

G. – Prima di tutto mi manca lo studio, per me era una seconda casa. La cura che ho avuto dello studio è stata straordinaria. Pensa che i manipoli che usavamo furono mandati in officina per la prima volta nel 2015: erano i miei amori!  Mi sono inventata, molto spesso, soluzioni per archiviare o gestire il magazzino che sono state apprezzate moltissimo dai miei titolari. Ho formato moltissime assistenti che mi inorgogliscono e mi emozionano quando dicono che sono stata la loro “maestra”. Mi manca molto il mio lavoro..., ho fatto fatica a fermarmi.

R. – Che consiglio daresti oggi alla nostra categoria?

G. – Di guardare e assorbire, perché il nostro è un lavoro che va assorbito! Nel nostro lavoro occorre sincronizzare le mani con il  cervello. Se sei in studio e pensi a “Peppo”, non puoi  pensare a quello che devi fare sul lavoro. Dobbiamo essere sempre concentrate ed attente per cogliere ogni dettaglio ed imparare.

Mi accorgo che la mia curiosità tiene a lungo Giovanna impegnata al telefono, forse troppo, allora saluto Giovanna Gio come se la conoscessi da sempre. La sua energia e contagiosa! A presto, cara Gio’, secondo me le colleghe vorranno conoscerti meglio. Secondo me la tua storia è quella che vorremmo poter raccontare tutti.

Rossella Abbondanza

 

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