La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza numero 35092 del 2023, ha chiarito una questione importante riguardante i ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione a enti privati convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
La sentenza è intervenuta annullando la decisione della Corte d'appello di Napoli, che aveva precedentemente respinto la richiesta di un centro diagnostico fisioterapico. Quest'ultimo aveva richiesto il pagamento di una somma di 1.532.595,53 euro, più gli interessi di mora accumulatisi dal 2007, secondo quanto stabilito dall'articolo 5 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231. Questo decreto, attuando la direttiva 2000/35/CE, mira a combattere i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e prevede l'applicazione di tassi di interesse di mora superiori rispetto a quelli definiti dall'articolo 1284 del Codice civile.
L'importanza di questa sentenza risiede nel riconoscimento che anche le transazioni tra strutture private e la Pubblica Amministrazione, in questo contesto specifico quelle relative alla fornitura di servizi al SSN, rientrano nella definizione di "transazioni commerciali". Di conseguenza, in caso di ritardato pagamento, si applicano le norme previste dal decreto legislativo n. 231/2002, tra cui quella relativa ai tassi di interesse di mora maggiorati. Questo chiarimento ribadisce il principio che le strutture private che erogano servizi per conto del SSN possono beneficiare delle stesse tutele previste per le imprese nelle transazioni commerciali, in termini di compensazione per i ritardi nei pagamenti.
La sentenza
La Corte di Cassazione ha ribaltato una decisione della Corte d'appello di Napoli, che si basava su precedenti sentenze (n. 5042 del 2017 e n. 9991 del 2019) secondo le quali i tassi di interesse previsti dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 231 del 2002 non si applicherebbero ai crediti derivanti dall'assistenza farmaceutica fornita per conto delle ASL. Tale esclusione si fondava sull'interpretazione che l'attività di dispensazione dei farmaci, essendo inquadrata in un rapporto concessorio con le ASL e finalizzata alla tutela della salute pubblica, avesse una natura pubblicistica, e quindi non fosse assimilabile a una transazione commerciale.
Contrariamente a questa interpretazione, la Corte di Cassazione ha affermato che le prestazioni sanitarie offerte dai centri privati convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) costituiscono effettivamente "transazioni commerciali". Di conseguenza, in caso di ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, tali strutture hanno il diritto di ricevere gli interessi di mora calcolati secondo il tasso previsto dal decreto legislativo n. 231/2002. Questo orientamento è stato confermato anche da altre sentenze (n. 17665 del 2019 e ordinanza n. 7019 del 2020 della Cassazione).
Questo principio riafferma l'importanza di garantire la regolarità dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, soprattutto nel settore sanitario, dove il rispetto dei termini di pagamento è cruciale data l'importanza del budget in gioco e il numero significativo di imprese coinvolte. La decisione sottolinea così la necessità di trattare le prestazioni sanitarie erogate da strutture private convenzionate come transazioni commerciali a tutti gli effetti, assicurando protezione e certezza economica a tali enti.